lunedì 3 aprile 2017


Descent Into Maelstrom - "Descent Into Maelstrom"


Etichetta: Autoprodotto -  Genere: Death / Black Metal 


Andrea Bignardi è un chitarrista amante del death e black metal che, spinto dalla voglia di creare una fusione tra i generi citati, ha creato il solo-project Descent Into Maelstrom (dando lo stesso titolo anche all'album). Otto sono le tracce, in un disco che presenta alcune influenze ma che prende di esse soltanto il cuore pulsante. Il risultato che ne esce è un mondo crepuscolare e a tinte fosche, in cui risuonano tristi melodie (“Ignis Fatuus”), bordate soniche (“Atavic Enemies” e la title-track) e maestose cavalcate (“Castle of Otranto”). In tutto questo Andrea Bignardi è colui che tiene le redini, passando dalle chitarre soliste e ritmiche alla voce (peraltro di buona fattura).

Durante l'ascolto del disco si avvertono qua e là echi di Dark Tranquillity (quelli dell' EP “Trail of Life Decayed”, ma anche della bellissima “No One” presente nella raccolta “Exposures”) e At the Gates (“The Red in the Sky is Ours”), ma il tutto è rielaborato in maniera assolutamente personale. A fare da contrappeso alle tante note interessanti vi sono alcune imperfezioni tipiche del disco di debutto. Le canzoni risultano essere spesso molto lunghe, mentre le batterie sono poco lavorate.
Credo che Andrea Bignardi possa essere soddisfatto del lavoro che ha creato. Ora non resta che arruolare persone che abbiano la sua stessa visione e che possano aiutarlo nell'espandere questo mondo crepuscolare a cui ha dato vita.


Voto 7 / 10

-M











martedì 24 gennaio 2017


Totem and Taboo - "Trumpet Flower"

Etichetta: Autoprodotto -  Genere: Thrash Metal


Trumpet Flower” è il disco di debutto dei Totem and Taboo, band modenese fautrice di un thrash metal che attinge a piene mani da gruppi storici come Metallica e Testament. Nonostante siano nati da appena due anni, i Nostri dimostrano di essere capaci di scrivere brani solidi e votati a una direzione maggiormente melodica rispetto a quel che si sente normalmente in questo genere. Uno dei migliori esempio in questo senso è l'opener “Agony”, dotata anche di un ritmo perfetto per scaldare gli animi in sede live; la title-track risulta invece sorprendente per quel ritmo dapprima tirato all'indietro, ma che poi viene scagliato in avanti in un grande assalto sonoro; “In the Name of Free Art” è un altro pezzo d'impatto, dove forse un maggior lavoro della chitarra solista avrebbe giovato alla già buona qualità del brano; con “Coming from beyond the Grave” si rimescolano le carte, in un pezzo che supera i sette minuti e dove la band si dimostra abile nel rendere la progressione emotiva che un pezzo di tale durata deve avere (da segnalare la seconda metà del brano, in cui spicca un assolo davvero ben fatto); “Black Fire” e “Come Back Now” sono tra gli episodi migliori del disco per l'alta dose di melodia che li contraddistingue e che, a mio parere, segnano la strada che i Totem and Taboo dovranno percorrere in futuro per trovare il proprio tratto distintivo. Che dire..non ci resta che augurare un grande in bocca al lupo a questi ragazzi, sperando di vederli continuare su questa strada!


Voto 7 / 10

-M

mercoledì 7 dicembre 2016


Hellbound - "Stories"

Etichetta: SG Records -  Genere: Southern Metal

Gli Hellbound nascono a Imola nel 2006 e fin da subito mostrano un grande attaccamento ai Pantera, a tal punto che la setlist dei loro live sarà per molto tempo composta soltanto da cover della band di Phil Anselmo. Nel 2013 rilasciano quindi l'EP “Outlaws” e a Settembre di quest'anno “ Stories”, il primo full length.
Come dicevo l'influenza dei Pantera è forte, ma lo è forse ancor di più quella dei Down, per le loro strutture più “ragionate” rispetto ai Pantera e, soprattutto, per la vena southern che li contraddistingue. Gran parte dei brani che compongono il disco sono lenti e poggiano le fondamenta sul cantato di Alessandro “Tronko” Tronconi, impegnato sia in linee melodiche che ruvide sebbene si trovi più a suo agio in quest'ultime. La sezione ritmica risulta semplice, gli assoli pochi e maggiormente focalizzati sulla melodia piuttosto che sulla tecnica. Tra gli episodi migliori spiccano “A Prophecy”, per il solido riffing e la linea vocale del chorus che s'imprime nella mente; “Witchcraft”, per quel suo essere oscura e particolare; “Outlaw”, forse il brano più coinvolgente, grazie a un chorus intrigante; interessante anche “Portrait”, che ricorda addirittura gli Staind degli esordi di “Dysfunction” e “Tormented”. Purtroppo però l'album soffre di una scarsa attenzione verso le chitarre soliste, il che riduce tanti dei brani (e in particolare i chorus) a semplici note aperte. In aggiunta la tracklist è composta da ben dodici tracce, di cui almeno un paio risultano troppo deboli per meritarsi di essere incluse (mi riferisco a “Caronte” e “Now or Never”). Ciò che suggerisco agli Hellbound in vista del prossimo disco è di includere meno brani (7-8 andrebbero benissimo), dedicando una maggiore attenzione alle rifiniture, all'inserimento di qualche cambio di tempo e, perché no, anche di qualche effetto. Sono sicuro che, attraverso l'uso di alcuni accorgimenti come questi, sapranno fare un salto di qualità tale da meritargli un voto ben maggiore rispetto a quello che trovano qua sotto.


Voto 6,5 / 10

-M














venerdì 18 novembre 2016



Logical Terror - "Ashes of Fate"

Etichetta: DarkTunes Music Group -  Genere: Modern Metal 

Esprimere un parere sull'ultimo disco dei Logical Terror non è cosa semplice. La prima impressione è che i Nostri non facciano altro che prendere in prestito il sound di band quali Mnemic e Soilwork per riprodurlo più o meno fedelmente. Se ci fermassimo qui il giudizio sarebbe molto facile da dare, dato che dipenderebbe dal fatto se l'ascoltatore fosse un amante o meno delle band sopra citate. Eppure oltre a questo c'è molto di più. Ci troviamo innanzitutto davanti a una band con le idee molto chiare su quello che vuol fare e, soprattutto, con le capacità per tramutare le idee in fatti. Forse i metallari della prima ora storceranno il naso nel sentire questo “Ashes of Fate”, un album in cui il Metal non è più Heavy, ma contaminato (se non “invaso”) dalla modernità dell'elettronica, degli effetti, dei suoni campionati, delle voci filtrate. Un metal per molti versi vicino al pop, potenzialmente “consumabile” anche da un pubblico ben più vasto di quello metallaro. Ma è proprio qui che risiede la difficoltà. Occorre infatti (e qui mi ripeto) avere le idee chiare, facendo un'analisi del pubblico target che si vuole raggiungere. Stiamo quasi entrando in un saggio di economia, ma la realtà è proprio questa. I Logical Terror non hanno lasciato nulla al caso. Il loro pop-metal non è banale ma frutto di scelte ben precise, e di questo bisogna dargli un gran merito. Sul fronte musicale pezzi come “The World Was Mine” e la title-track si pongono un gradino sopra gli altri, non soltanto per gli ottimi featuring di Bjorn “Speed” Strid (Soilwork) e di Jon Howard (Threat Signal), quanto per la qualità degli arrangiamenti, delle linee vocali, del “tiro” di certi parti; con “Nowhere To Nowhere” abbiamo la canzone “particolare”, soprattutto per il riff iniziale e la generale struttura del brano che tanto devono a un capolavoro quale “Ghost” dei Mnemic; peccato per “Shattered Crown” e “Another Day Gone” - brani veramente troppo “annacquati” e privi di una vera ossatura – mentre “Sleep Well The Darkest Night” convince a metà per quel suo essere “inno” metal che si perde nei troppi stoppati disseminati qua e là all'interno del brano; bella, bellissima invece “The Long Descent”, la vera perla del disco, quella che ascolti una volta e non lasci più: trasuda qui la voglia di divertirsi dei Logical Terror, in un brano apprezzabile tanto su disco quanto in sede live; concludiamo con “Coming Undone”, un pezzo assolutamente valido grazia alla capacità dei Nostri di dare il massimo respiro a ciascuna parte.
Ripeto: non è facile giudicare questo disco. Ma ritengo che, in un panorama dove tante band cercano di suonare con la maggior tecnica possibile e al bpm più veloce possibile, un disco come “Ashes of Fate” sia una bella boccata d'ossigeno, occasione per sentire qualcosa di piacevole ma non estremamente impegnativo. Ma sono sicuro che anche questa scelta i Logical Terror l'abbiano ben ponderata..


Voto 7,5 / 10

-M




lunedì 7 novembre 2016



The Burning Dogma - "No Shores of Hope"

Etichetta: Sliptrick Records -  Genere: Death Metal 


Dopo essere esorditi nel 2012 con l'EP “Cold Shade Burning”, i bolognesi The Burning Dogma tornano con questo full-length intitolato “No Shores of Hope”. A quattro anni di distanza tanto è cambiato: in primis la firma con l'etichetta Sliptrick Records, ma anche alcuni cambi di line-up, occasione per i Nostri di rivedere la propria immagine. Ora infatti è tutto più fosco e crepuscolare, con il logo e gli abiti diventati piuttosto tetri. La proposta musicale segue quindi la stessa linea, con tredici tracce (di cui sei sono passaggi a cavallo tra lo strumentale e il sinfonico/elettronico) pronte a portarci in un mondo oscuro e desolato. Dopo l'intro “Waves of Solitude” eccoThe Breach”, in cui abbiamo un incipit corposo e dalle tante variazioni, a dimostrazione dell’ottimo feeling tra chitarre e batteria. La voce risulta convincente e capace di passare dal growl allo scream e viceversa senza troppi sforzi. Evocativa la parte finale grazie agli assoli di Maurizio Cremonini, abile nel bilanciare parti veloci ad altre in cui accarezza l’oscurità a suon di melodie; “Skies of Greyè un brano lungo ma gradevole, grazie a un numero minore di variazioni e alla presenza della cantante Debora Ceneri (Revenience) in qualità di ospite; con Feast for Crowsabbiamo invece un episodio poco convincente, sia per l’intro bella ed evocativa stroncata dal cambio di tempo della strofa, che per la linea vocale del chorus non all'altezza; e se Burning Timesnon si sposta molto da quanto sentito nella traccia precedente, ascoltando Hopelessnon si non si avverte la presenza di un'apice emotivo, per il resto troviamo una prima metà cantata in growl (cupo a tal punto da stare sotto al livello delle chitarre, infastidendo l'ascolto) e la seconda in scream; con Nemesis” non è facile avere una visione complessiva del brano, a causa dei troppi riff che lo “affollano”, mentre con la trilogia conclusiva “Dawn Yet to Come” - e in particolare col secondo episodio No Heroes Dawn” - torniamo a pregevoli tinte crepuscolari, rese grazie all'ottima scelta degli effetti di chitarra.
Dopo aver ascoltato “No Shores of Hope” la cosa che rimane più impressa è l'atmosfera plumbea che pervade il disco, dovuta in gran parte al grosso lavoro svolto da chitarre e tastiera. Eppure in tutto questo qualcosa ancora non quadra. La band si dimostra solida, ma non ancora capace di “bucare” lo stereo. Spesso i brani soffrono di drastici cambi di bpm, cosa che rende difficile l'ascolto generale. Intendiamoci, ci troviamo davanti a musicisti che sanno il fatto loro, ma suggerisco loro un lavoro più oculato in questo senso, in modo da dare alle canzoni un “flow” preciso che permetta all'ascoltatore di calarsi al meglio nell'immaginario oscuro ricreato dai Nostri. Sono sicuro che, limato questo dettaglio, i The Burning Dogma potranno facilmente trovare un posto tutto loro nel panorama Death nostrano. 



Voto 7 / 10

-M





lunedì 31 ottobre 2016


 Sotto il Segno del Male: intervista ai Path of Sorrow 


E' da poco uscito il loro primo full-length intitolato "Fearytales", con cui danno prova di un sound dannatamente personale e votato all'oscuro. Signore e Signori, da Genova ecco a voi i Path of Sorrow. 


CIAO RAGAZZI E BENVENUTI SU THE METALLIST! VOLETE RACCONTARCI COM'E' NATA LA VOSTRA BAND? 
Robert: Ciao a tutti i lettori di The Metallist! Prima di rispondere, vorrei presentare la band: io sono Robert e suono il Basso, poi abbiamo Mat alla Voce, Jacopo e Davi alle Chitarre e Attila alla Batteria. a band nasce ufficialmente nel Settembre del 2012, anche se nei mesi antecedenti stavamo già provando in formazione "ridotta". Abbiamo avuto molto affiatamento fin da subito, grazie anche al fatto di esser prima di tutto amici e non solo delle persone che si vedono per provare: questo ha portato, nei mesi successivi, alla nascita di alcuni brani che poi sarebbero entrati a far parte del nostro recente album. Nel 2013 debuttiamo finalmente live, ed il riscontro sul palco e del pubblico è molto positivo, nell'anno successivo continuano i live e registriamo una demo (non ufficiale e mai commercializzata). Verso la fine del 2014 però la band rischia di sciogliersi definitivamente per divergenze di stile, rimanendo così solo Mattia ed io. Abbiamo continuato a credere nel progetto, tanto da riformare la band in poco più di un paio di mesi: si uniscono così ai Path Of Sorrow Attila alla batteria e Jacopo e Davi alle chitarre, tutti con diverse esperienze ed influenze alle spalle, ma pronti a rimettersi in gioco con questo progetto. Nemmeno il tempo di capire come e quando e a Gennaio 2015 abbiamo subito la prima data con la nuova formazione: l'impatto sonoro e visivo sono completamente cambiati, si capiva cosa volevamo fare e come farlo. Quello è stato solo l'inizio, ad oggi abbiamo "portato a casa" tanti bei concerti (con gruppi come Necrodeath, Electrocution, The Vison Bleak, Modern Age Slavery solo per citarne alcuni), diverse trasferte in Italia e all'estero ma sopratutto la realizzazione del nostro primo lavoro in studio “Fearytales”, registrato tra Gennaio ed Aprile qui a Genova nei Blackwave Studio di Fabio Palombi (Nerve, Burn the Ocean) e la firma con la Buil2Kill a Settembre.


QUALI GRUPPI SONO STATI DI ISPIRAZIONE NELLA VOSTRA CARRIERA?
Robert: Siamo profondamente debitori alla scuola svedese del Death Metal. Personalmente, avendo suonato per anni cover dei primi In Flames, il sound ne risente tantissimo. Ma questa non è l'unica influenza, perché non possiamo certo non menzionare gruppi come Hypocrisy, Dark Tranquillity, At The Gates, Dissection e Kreator, Testament e Death Angel per quanto riguarda la nostra parte Thrash. Forse però la cosa più caratteristica dei Path Of Sorrow è proprio che, avendo background diversi, riusciamo a mettere tutto assieme nel nostro "calderone" ottenendo così un nostro suono ed una nostra identità, tenendo sempre a mente le tematiche Horror sia nei testi che nelle atmosfere.

COSA VOLETE ESPRIMERE CON LA VOSTRA MUSICA?
Mat: Domanda difficile. Probabilmente la risposta più sincera che io possa dare è la nostra idea di Death Metal. Come detto in precedenza, noi membri dei Path of Sorrow abbiamo dei background musicali differenti l'uno dall'altro, ma abbiamo deciso di sfogare le nostre differenti vene metal in chiave Death. I nostri pezzi cavalcano sempre tematiche care al genere horror che confezioniamo con growl, scream e riff incalzanti, dando sfogo alla voglia di “oscuro” e “maligno” che alberga più o meno in tutti. Direi che questo è quello che vogliamo esprimere con la nostra musica: male, orrore e crudeltà, la nostra idea di Death Metal.

COSA NE PENSATE DELLA SCENA METAL ITALIANA UNDERGROUND?
Jacopo: Leggevo recentemente online di un dibattito proprio su questo argomento. C'era chi aveva il coraggio di sostenere che ad oggi la scena metal italiana è pressoché sparita. Francamente è un'affermazione che non riesco a concepire: solo a Genova, negli ultimi anni, ho scoperto con molto stupore una serie di band, liguri e non solo, dalle prospettive davvero interessanti. Con questo voglio dire che chi non si rende conto dell'immensa varietà e della grandissima qualità del nostro underground è solamente chi non è interessato a supportarlo, seguendo soltanto le solite band che solcano i palchi da 30 o 40 anni. La scena metal underground non solo è viva, ma è anche in continue espansione ed evoluzione e, per fortuna, c'è ancora chi crede e supporta le band che giorno dopo giorno nascono e creano qualcosa di proprio in un settore in cui è difficile distinguersi.

COMPOSIZIONE DEI BRANI..SALETTA O PC?
Davi: Entrambi. Il più delle volte il pezzo viene composto a casa da uno di noi, tendenzialmente da me o da Jacopo, e presentato agli altri con una struttura ed un arrangiamento provvisori; quindi ci lavoriamo assieme finché non siamo tutti soddisfatti. Non è però raro che il pezzo nasca proprio in saletta, magari da un riff uscito per caso, con il contributo di tutti fin da subito. Personalmente trovo questo sistema di composizione “ibrido” ottimale, perché ci permette di avere varietà nei brani, ma allo stesso tempo coerenza, e senza forzare niente. Per quanto riguarda i testi, sono quasi tutti opera di Mat (cantante), con qualche contributo anche dagli altri.

IN QUESTI GIORNI E' USCITO IL VOSTRO PRIMO FULL-LENGTHFEARYTALES”: QUANTO TEMPO VI E' SERVITO PER COMPORLO?
Davi: Quando il gruppo si è trovato a dover sostituire ben tre dei suoi cinque componenti, a fine 2014, metà circa dei brani che sono poi finiti nell’album erano già stati composti, a partire dalla formazione del gruppo stesso circa due anni prima; per arrangiare quei pezzi e comporre la restante metà abbiamo impiegato grosso modo un anno. A Gennaio di quest’anno siamo entrati in studio, e le registrazioni sono durate un paio di mesi; poi ci siamo messi da parte e abbiamo lasciato che le sapienti mani e orecchie di Fabio Palombi (Blackwave Studio) facessero la loro magia.

SIETE SODDISFATTI DEL RISULTATO OTTENUTO?
Jacopo: Direi di si, siamo pienamente soddisfatti del risultato ottenuto. Sapevamo che ad affidare il lavoro nelle mani esperte di Fabio Palombi c'era da stare tranquilli, ma quando abbiamo ascoltato per la prima volta il lavoro finito siamo rimasti piacevolmente sorpresi. È ovvio che, grazie a questa esperienza, abbiamo anche imparato molte cose e a crescere non solo come individui, ma come gruppo; crescita che, soprattutto per chi ci segue da sempre, è uno degli aspetti più sentiti e trasmessi dal nostro album.

AVETE DELLA DATE IN PROGRAMMA?
Attila: Al momento abbiamo confermata la data del 18 Novembre al Traffic Live di Roma, per l'ottava edizione dell'Hardsounds Festival, dove avremmo il piacere di suonare coi Lectern, i Demiurgon ed i Logic Of Denial, e di rivedere i nostri amici Electrucution, con cui abbiamo fatto una data qui a Genova l'anno scorso. Ne abbiamo poi una decina da confermare per il 2017, sia in Italia che anche al di fuori della penisola: diciamo che ci si vedrà spesso in giro!

QUALI SONO I VOSTRI PROGETTI FUTURI?
Attila: I nostri progetti, o per meglio dire obiettivi, sono tanti (come ogni band del nostro livello). Ma ce n'è uno solo che rimarrà sempre fondamentale per noi, ed è quello di fare musica, che piaccia sì al pubblico ma che piaccia prima di tutto a noi, perché non riusciamo mai ad accontentarci e non riusciremmo mai a suonare qualcosa "tanto per fare". Non guardiamo mai troppo in là nel futuro, cerchiamo di fare piccoli passi volta per volta ma fatti con criterio, in modo da dar ancora più valore ed importanza ai traguardi che raggiungiamo.

COSA VOLETE DIRE PER SALUTARE I VISITATORI DI THE METALLIST?
Mat: Per salutare i lettori voglio ribadire un concetto trito e ritrito ma sempre efficace e meritevole di essere ripetuto: supportate l'underground della vostra zona! La scena Italiana è viva e gode di ottima salute al di sopra del palco ma è al di sotto che si deve scatenare davvero, perciò correte a mettere a ferro e fuoco i locali della vostra zona ogni volta che se ne presenta l'opportunità! Grazie a tutti i lettori e grazie a The Metallist per lo spazio che ci avete concesso!





giovedì 27 ottobre 2016


Heller Schein - "Sonic Clash Warning"

Etichetta: Autoprodotto -  Genere: N.d. 

Mettiamo subito le cose in chiaro: non è facile ascoltare questo disco degli Heller Schein. In primis perché la band bolognese rifiuta qualsiasi classificazione e fa di tutto per rimanere fuori dai ranghi. A ciò contribuisce la moltitudine di generi musicali a cui fanno riferimento, dal grunge al progressive rock, dal metal di stampo classico alla musica d’autore. Risulta quindi inutile (se non insensato) catalogare la loro proposta, molto meglio quindi concentrarsi sull'analisi dei brani. “Ascension” è uno degli inizi più ardui che ci si poteva aspettare, una canzone strana e straniante, costruita appunto per uscire dai canoni e priva addirittura di un vero e proprio chorus. La sensazione è che i Nostri si vogliano burlare dell’ascoltatore, sorprendendolo con molteplici interruzioni poste qua e là nel brano. L’ascolto non è semplice, complice il sound allucinato di chitarra e voce (quest'ultima “particolare” a tal punto da risultare quasi fastidiosa); “Karma” è il suo gemello ritmato e razionale, di cui sottolineiamo la seconda metà canzone che tanto ricorda (sia nella voce che nelle chitarre) l’eclettismo dei Pain of Salvation di “Remedy Lane”; con “Grand Father Song” la band mostra invece il suo lato più emotivo, in un pezzo lineare ma accorato; “Twisted Joker” è tra i brani più convincenti, eclettico ma al tempo stesso potente; la title-track è composta piuttosto bene, incentrata su un riff potente intorno al quale orbitano momenti di varia intensità. Bella la scelta di nominare il titolo del brano (oltreché del disco) soltanto nel finale, come in una sorta di esplosione catartica; “Watching Through My Head A Baby” mostra ancora una volta il lato più intimista della band, a cavallo tra rock progressivo e grunge, mentre la conclusiva “Viky’s Legacy” è composta da vari momenti inframezzati da un riff potente di stampo maideniano. 
Al di là di questo approccio colto alla musica, risulta però difficile comprendere l'essenza profonda di questa musica. L'impressione è che la band sia più concentrata nel rendere le canzoni le più ermetiche possibili, piuttosto che "metabolizzarne" la complessità per giungere a comunicare qualcosa all'ascoltatore. L'eclettismo di questi ragazzi è innegabile, ma se non lo si rende comprensibile (e quindi apprezzabile agli altri) rimane fine a sé stesso. 


Voto 6,5 / 10 

-M