Gli
Hellbound nascono a Imola nel 2006 e fin da subito mostrano un grande
attaccamento ai Pantera, a tal punto che la setlist dei loro live
sarà per molto tempo composta soltanto da cover della band di Phil
Anselmo. Nel 2013 rilasciano quindi l'EP “Outlaws” e a Settembre
di quest'anno “ Stories”, il primo full length.
Come
dicevo l'influenza dei Pantera è forte, ma lo è forse ancor di più
quella dei Down, per le loro strutture più “ragionate” rispetto
ai Pantera e, soprattutto, per la vena southern che li
contraddistingue. Gran parte dei brani che compongono il disco sono
lenti e poggiano le fondamenta sul cantato di Alessandro “Tronko”
Tronconi, impegnato sia in linee melodiche che ruvide sebbene si
trovi più a suo agio in quest'ultime. La sezione ritmica risulta
semplice, gli assoli pochi e maggiormente focalizzati sulla melodia
piuttosto che sulla tecnica. Tra gli episodi migliori spiccano “A
Prophecy”, per il solido riffing e la linea vocale del chorus
che s'imprime nella mente; “Witchcraft”, per quel suo
essere oscura e particolare; “Outlaw”, forse il brano più
coinvolgente, grazie a un chorus intrigante; interessante anche
“Portrait”, che ricorda addirittura gli Staind degli
esordi di “Dysfunction” e “Tormented”. Purtroppo però
l'album soffre di una scarsa attenzione verso le chitarre soliste, il
che riduce tanti dei brani (e in particolare i chorus) a semplici
note aperte. In aggiunta la tracklist è composta da ben dodici
tracce, di cui almeno un paio risultano troppo deboli per meritarsi
di essere incluse (mi
riferisco a “Caronte” e
“Now or Never”).
Ciò che suggerisco agli Hellbound in vista del prossimo disco è di
includere meno brani (7-8 andrebbero benissimo), dedicando una
maggiore attenzione alle rifiniture, all'inserimento di qualche
cambio di tempo e, perché no, anche di qualche effetto. Sono sicuro
che, attraverso l'uso di alcuni accorgimenti come questi, sapranno
fare un salto di qualità tale da meritargli un voto ben maggiore
rispetto a quello che trovano qua sotto.
Etichetta: DarkTunes Music Group - Genere: Modern Metal
Esprimere
un parere sull'ultimo disco dei Logical Terror non è cosa semplice.
La prima impressione è che i Nostri non facciano altro che prendere
in prestito il sound di band quali Mnemic e Soilwork per riprodurlo
più o meno fedelmente. Se ci fermassimo qui il giudizio sarebbe
molto facile da dare, dato che dipenderebbe dal fatto se
l'ascoltatore fosse un amante o meno delle band sopra citate. Eppure
oltre a questo c'è molto di più. Ci troviamo innanzitutto davanti a
una band con le idee molto chiare su quello che vuol fare e,
soprattutto, con le capacità per tramutare le idee in fatti. Forse i
metallari della prima ora storceranno il naso nel sentire questo
“Ashes of Fate”, un
album in cui il Metal non è più Heavy, ma contaminato (se non
“invaso”) dalla modernità dell'elettronica, degli effetti, dei
suoni campionati, delle voci filtrate. Un metal per molti versi
vicino al pop, potenzialmente “consumabile” anche da un pubblico
ben più vasto di quello metallaro. Ma è proprio qui che risiede la
difficoltà. Occorre infatti (e qui mi ripeto) avere le idee chiare,
facendo un'analisi del pubblico target che si vuole raggiungere.
Stiamo quasi entrando in un saggio di economia, ma la realtà è
proprio questa. I Logical Terror non hanno lasciato nulla al caso. Il
loro pop-metal non è banale ma frutto di scelte ben precise, e di
questo bisogna dargli un gran merito. Sul fronte musicale pezzi come
“The World Was Mine” e la title-track si pongono un
gradino sopra gli altri, non soltanto per gli ottimi featuring di
Bjorn “Speed” Strid (Soilwork) e di Jon Howard (Threat Signal),
quanto per la qualità degli arrangiamenti, delle linee vocali, del
“tiro” di certi parti; con “Nowhere To Nowhere”
abbiamo la canzone “particolare”, soprattutto per il riff
iniziale e la generale struttura del brano che tanto devono a un
capolavoro quale “Ghost”
dei Mnemic; peccato per “Shattered
Crown” e “Another Day Gone” - brani veramente troppo
“annacquati” e privi di una vera ossatura – mentre “Sleep
Well The Darkest Night” convince a metà per quel suo essere “inno”
metal che si perde nei troppi stoppati disseminati qua e là
all'interno del brano; bella, bellissima invece “The Long
Descent”, la vera perla del
disco, quella che ascolti
una volta e non lasci più: trasuda qui la voglia di divertirsi dei
Logical Terror, in un brano apprezzabile tanto su disco quanto in
sede live; concludiamo con “Coming Undone”,
un pezzo assolutamente valido grazia alla capacità dei Nostri di
dare il massimo respiro a ciascuna parte.
Ripeto:
non è facile giudicare questo disco. Ma ritengo che, in un panorama
dove tante band cercano di suonare con la maggior tecnica possibile e
al bpm più veloce possibile, un disco come “Ashes of Fate” sia
una bella boccata d'ossigeno, occasione per sentire qualcosa
di piacevole ma non estremamente impegnativo. Ma sono sicuro che
anche questa scelta i Logical Terror l'abbiano ben ponderata..
Etichetta: Sliptrick Records - Genere: Death Metal
Dopo
essere esorditi nel 2012 con l'EP “Cold Shade Burning”, i
bolognesi The Burning Dogma tornano con questo full-length intitolato
“No Shores of Hope”. A quattro anni di distanza tanto è
cambiato: in primis la firma con l'etichetta Sliptrick Records, ma
anche alcuni cambi di line-up, occasione per i Nostri di rivedere
la propria immagine. Ora infatti
è tutto
più fosco e
crepuscolare, con
il
logoe gli abiti diventatipiuttosto
tetri.
La proposta musicale segue quindi la stessa linea, con
tredici tracce (di cui sei sono passaggi a cavallo tra lo strumentale
e il sinfonico/elettronico) pronte a portarci
in un mondo
oscuro e desolato.
Dopo
l'intro “Waves
of Solitude” ecco
“The
Breach”,
in cui abbiamo un incipit corposo e dalle tante variazioni, a
dimostrazione dell’ottimo feeling tra chitarre e batteria. La voce risulta convincente e capace di passare dal growl allo scream e
viceversa senza troppi sforzi. Evocativa la parte finale grazie agli assoli di Maurizio Cremonini, abile nel bilanciare parti veloci ad
altre in cui accarezza l’oscurità a suon di melodie;
“Skies
of Grey”
è
un brano lungo ma gradevole, grazie a un numero minore di variazioni
e alla presenza della cantante Debora Ceneri (Revenience) in qualità di ospite;
con
“Feast
for Crows”
abbiamo
invece un episodio poco
convincente, sia per l’intro bella ed evocativa stroncata dal
cambio di tempo della strofa, che per la linea vocale del chorus non
all'altezza; e se “Burning
Times”
non
si sposta molto da quanto sentito nella traccia precedente, ascoltando“Hopeless”
non
si non si avverte la presenza di un'apice emotivo, per il resto
troviamo una prima metà cantata in growl (cupo a tal punto da stare
sotto al livello delle chitarre, infastidendo l'ascolto) e la seconda
in scream; con
“Nemesis”
non è facile avere una visione complessiva del brano, a causa dei
troppi riff che lo “affollano”, mentre con la trilogia conclusiva
“Dawn
Yet
to Come”
- e in particolare col secondo episodio “No
Heroes Dawn”
- torniamo a pregevoli
tinte crepuscolari, rese grazie all'ottima scelta degli effetti di
chitarra.
Dopo
aver ascoltato “No Shores of Hope” la cosa che rimane più
impressa è l'atmosfera plumbea che pervade il disco, dovuta in gran parte al grosso lavoro svolto da chitarre e tastiera. Eppure in tutto questo qualcosa ancora
non quadra. La band si dimostra sì
solida,
ma non ancora capace
di “bucare” lo stereo. Spesso
i brani soffrono di drastici cambi di bpm, cosa che rende
difficile l'ascolto generale. Intendiamoci, ci troviamo davanti a
musicisti che sanno il fatto loro, ma suggerisco loro un lavoro più
oculato in questo senso, in modo da dare alle canzoni un “flow” preciso che permetta all'ascoltatore di calarsi al meglio
nell'immaginario oscuro ricreato dai Nostri. Sono sicuro che, limato
questo dettaglio, i The Burning Dogma potranno facilmente trovare
un posto tutto loro nel panorama Death nostrano.
Sotto il Segno del Male: intervista ai Path of Sorrow
E' da poco uscito il loro primo full-length intitolato "Fearytales", con cui danno prova di un sound dannatamente personale e votato all'oscuro. Signore e Signori, da Genova ecco a voi i Path of Sorrow.
CIAO RAGAZZI E BENVENUTI SU THE METALLIST! VOLETE RACCONTARCI COM'E' NATA LA VOSTRA BAND?
Robert: Ciao a tutti i lettori di The Metallist! Prima di rispondere, vorrei presentare la band: io sono Robert e suono il Basso, poi abbiamo Mat alla Voce, Jacopo e Davi alle Chitarre e Attila alla Batteria. a
band nasce ufficialmente nel Settembre del 2012, anche se nei mesi
antecedenti stavamo già provando in formazione "ridotta".
Abbiamo avuto molto affiatamento fin da subito, grazie anche al fatto
di esser prima di tutto amici e non solo delle persone che si vedono
per provare: questo ha portato, nei mesi successivi, alla nascita di
alcuni brani che poi sarebbero entrati a far parte del nostro recente
album. Nel 2013 debuttiamo finalmente live, ed il riscontro sul palco
e del pubblico è molto positivo, nell'anno successivo continuano i
live e registriamo una demo (non ufficiale e mai commercializzata).
Verso la fine del 2014 però la band rischia di sciogliersi
definitivamente per divergenze di stile, rimanendo così solo Mattia
ed io. Abbiamo continuato a credere nel progetto, tanto da riformare
la band in poco più di un paio di mesi: si uniscono così ai Path Of
Sorrow Attila alla batteria e Jacopo e Davi alle chitarre, tutti con
diverse esperienze ed influenze alle spalle, ma pronti a rimettersi
in gioco con questo progetto. Nemmeno il tempo di capire come e
quando e a Gennaio 2015 abbiamo subito la prima data con la nuova
formazione: l'impatto sonoro e visivo sono completamente cambiati, si
capiva cosa volevamo fare e come farlo. Quello è stato solo
l'inizio, ad oggi abbiamo "portato a casa" tanti bei
concerti (con gruppi come Necrodeath, Electrocution, The Vison Bleak,
Modern Age Slavery solo per citarne alcuni), diverse trasferte in
Italia e all'estero ma sopratutto la realizzazione del nostro primo
lavoro in studio “Fearytales”, registrato tra Gennaio ed Aprile
qui a Genova nei Blackwave Studio di Fabio Palombi (Nerve, Burn the
Ocean) e la firma con la Buil2Kill a Settembre.
QUALI
GRUPPI SONO STATI DI ISPIRAZIONE NELLA VOSTRA CARRIERA?
Robert:
Siamo profondamente debitori alla scuola svedese del Death Metal.
Personalmente, avendo suonato per anni cover dei primi In Flames, il
sound ne risente tantissimo. Ma questa non è l'unica influenza,
perché non possiamo certo non menzionare gruppi come Hypocrisy, Dark
Tranquillity, At The Gates, Dissection e Kreator, Testament e Death
Angel per quanto riguarda la nostra parte Thrash. Forse però la cosa
più caratteristica dei Path Of Sorrow è proprio che, avendo
background diversi, riusciamo a mettere tutto assieme nel nostro
"calderone" ottenendo così un nostro suono ed una nostra
identità, tenendo sempre a mente le tematiche Horror sia nei testi
che nelle atmosfere.
COSA
VOLETE ESPRIMERE CON LA VOSTRA MUSICA?
Mat:
Domanda difficile. Probabilmente la risposta più sincera che io
possa dare è la nostra idea di Death Metal. Come detto in
precedenza, noi membri dei Path of Sorrow abbiamo dei background
musicali differenti l'uno dall'altro, ma abbiamo deciso di sfogare le
nostre differenti vene metal in chiave Death. I nostri pezzi
cavalcano sempre tematiche care al genere horror che confezioniamo
con growl, scream e riff incalzanti, dando sfogo alla voglia di
“oscuro” e “maligno” che alberga più o meno in tutti. Direi
che questo è quello che vogliamo esprimere con la nostra musica:
male, orrore e crudeltà, la nostra idea di Death Metal.
COSA
NE PENSATE DELLA SCENA METAL ITALIANA UNDERGROUND?
Jacopo:
Leggevo recentemente online di un dibattito proprio su questo
argomento. C'era chi aveva il coraggio di sostenere che ad oggi la
scena metal italiana è pressoché sparita. Francamente è
un'affermazione che non riesco a concepire: solo a Genova, negli
ultimi anni, ho scoperto con molto stupore una serie di band, liguri
e non solo, dalle prospettive davvero interessanti. Con questo voglio
dire che chi non si rende conto dell'immensa varietà e della
grandissima qualità del nostro underground è solamente chi non è
interessato a supportarlo, seguendo soltanto le solite band che
solcano i palchi da 30 o 40 anni. La scena metal underground non solo
è viva, ma è anche in continue espansione ed evoluzione e, per
fortuna, c'è ancora chi crede e supporta le band che giorno dopo
giorno nascono e creano qualcosa di proprio in un settore in cui è
difficile distinguersi.
COMPOSIZIONE
DEI BRANI..SALETTA O PC?
Davi:
Entrambi. Il più delle volte il pezzo viene composto a casa da uno
di noi, tendenzialmente da me o da Jacopo, e presentato agli altri
con una struttura ed un arrangiamento provvisori; quindi ci lavoriamo
assieme finché non siamo tutti soddisfatti. Non è però raro che il
pezzo nasca proprio in saletta, magari da un riff uscito per caso,
con il contributo di tutti fin da subito. Personalmente trovo questo
sistema di composizione “ibrido” ottimale, perché ci permette di
avere varietà nei brani, ma allo stesso tempo coerenza, e senza
forzare niente. Per quanto riguarda i testi, sono quasi tutti opera
di Mat (cantante), con qualche contributo anche dagli altri.
IN
QUESTI GIORNI E' USCITO IL VOSTRO PRIMO
FULL-LENGTH “FEARYTALES”: QUANTO
TEMPO VI E' SERVITO PER COMPORLO?
Davi:
Quando il gruppo si è trovato a dover sostituire ben tre dei suoi
cinque componenti, a fine 2014, metà circa dei brani che sono poi
finiti nell’album erano già stati composti, a partire dalla
formazione del gruppo stesso circa due anni prima; per arrangiare
quei pezzi e comporre la restante metà abbiamo impiegato grosso modo
un anno. A Gennaio di quest’anno siamo entrati in studio, e le
registrazioni sono durate un paio di mesi; poi ci siamo messi da
parte e abbiamo lasciato che le sapienti mani e orecchie di Fabio
Palombi (Blackwave Studio)
facessero la loro magia.
SIETE
SODDISFATTI DEL RISULTATO OTTENUTO?
Jacopo:
Direi di si, siamo pienamente soddisfatti del risultato ottenuto.
Sapevamo che ad affidare il lavoro nelle mani esperte di Fabio
Palombi c'era da stare tranquilli, ma quando abbiamo ascoltato per la
prima volta il lavoro finito siamo rimasti piacevolmente sorpresi. È
ovvio che, grazie a questa esperienza, abbiamo anche imparato molte
cose e a crescere non solo come individui, ma come gruppo; crescita
che, soprattutto per chi ci segue da sempre, è uno degli aspetti più
sentiti e trasmessi dal nostro album.
AVETE
DELLA DATE IN PROGRAMMA?
Attila:
Al momento abbiamo confermata la data del 18 Novembre al Traffic Live
di Roma, per l'ottava edizione dell'Hardsounds Festival, dove avremmo
il piacere di suonare coi Lectern, i Demiurgon ed i Logic Of Denial,
e di rivedere i nostri amici Electrucution, con cui abbiamo fatto una
data qui a Genova l'anno scorso. Ne abbiamo poi una decina da
confermare per il 2017, sia in Italia che anche al di fuori della
penisola: diciamo che ci si vedrà spesso in giro!
QUALI
SONO I VOSTRI PROGETTI FUTURI?
Attila:
I nostri progetti, o per meglio dire obiettivi, sono tanti (come ogni
band del nostro livello). Ma ce n'è uno solo che rimarrà sempre
fondamentale per noi, ed è quello di fare musica, che piaccia sì
al pubblico ma che piaccia prima di tutto a noi, perché non
riusciamo mai ad accontentarci e non riusciremmo mai a suonare
qualcosa "tanto per fare". Non guardiamo mai troppo in là
nel futuro, cerchiamo di fare
piccoli passi volta per volta ma fatti con criterio, in modo da dar
ancora più valore ed importanza ai traguardi che raggiungiamo.
COSA VOLETE DIRE PER SALUTARE I VISITATORI DI THE METALLIST?
Mat:
Per salutare i lettori voglio ribadire un concetto trito e ritrito ma
sempre efficace e meritevole di essere ripetuto: supportate
l'underground della vostra zona! La scena Italiana è viva e gode di
ottima salute al di sopra del palco ma è al di sotto che si deve
scatenare davvero, perciò correte a mettere a ferro e fuoco i locali
della vostra zona ogni volta che se ne presenta l'opportunità!
Grazie a tutti i lettori e grazie a The Metallist per lo spazio che
ci avete concesso!
Mettiamo subito le cose in chiaro: non è facile ascoltare questo disco degli Heller
Schein. In primis perché la band bolognese rifiuta qualsiasi classificazione e fa di tutto per rimanere fuori dai ranghi. A ciò contribuisce la
moltitudine di generi musicali a cui fanno riferimento, dal grunge al progressive rock, dal metal
di stampo classico alla musica d’autore. Risulta quindi inutile (se non
insensato) catalogare la loro proposta, molto meglio quindi concentrarsi sull'analisi dei brani. “Ascension”
è uno degli inizi più ardui che ci si poteva aspettare, una canzone strana e straniante, costruita
appunto per uscire dai canoni e priva addirittura di un vero e proprio chorus. La
sensazione è che i Nostri si vogliano burlare dell’ascoltatore,
sorprendendolo con molteplici interruzioni poste qua e là nel brano. L’ascolto non è semplice, complice il sound allucinato di chitarra
e voce (quest'ultima “particolare” a tal punto da risultare quasi fastidiosa); “Karma” è il suo gemello ritmato e
razionale, di cui sottolineiamo la seconda metà canzone che tanto ricorda (sia
nella voce che nelle chitarre) l’eclettismo dei Pain of Salvation di “Remedy
Lane”; con “Grand Father Song” la
band mostra invece il suo lato più emotivo, in un pezzo lineare ma accorato; “Twisted Joker” è tra i brani più
convincenti, eclettico ma al tempo stesso potente; la
title-track è composta piuttosto bene,
incentrata su un riff potente intorno al quale orbitano momenti di varia
intensità. Bella la scelta di nominare il titolo del brano (oltreché del disco) soltanto nel finale, come in una sorta di esplosione catartica; “Watching Through My Head A Baby” mostra ancora una volta il lato
più intimista della band, a cavallo tra rock progressivo e grunge, mentre la
conclusiva “Viky’s Legacy” è
composta da vari momenti inframezzati da un riff potente di stampo maideniano.
Al di là di questo approccio colto alla musica, risulta però difficile comprendere l'essenza profonda di questa musica. L'impressione è che la band sia più concentrata nel rendere le canzoni le più ermetiche possibili, piuttosto che "metabolizzarne" la complessità per giungere a comunicare qualcosa all'ascoltatore. L'eclettismo di questi ragazzi è innegabile, ma se non lo si rende comprensibile (e quindi apprezzabile agli altri) rimane fine a sé stesso.
Etichetta: Buil2Kill Records - Genere: Death Metal
“Fearytales”
è il primo full-length dei genovesi Path Of Sorrow ed è,
lasciatemelo dire, un'album coi fiocchi. Un disco composto da musicisti maturi, da una band che ha già fatto
il giro di boa e che presenta i primi tratti di un sound
personale.
Il
mondo in cui ci fa entrare la band è nero, nero come la pece. Non di
quel nero che il black metal ama tanto sfoggiare con simboli e
provocazioni, ma un nero interiore e malefico. Questa atmosfera ci
avvolge già dall'intro “Into The Path” e prosegue con
“Under The Mark Of Evil”, brano sostenuto da buoni
riff e da linee vocali piuttosto varie (forse il chorus avrebbe
potuto essere più importante - magari allungato con note aperte e
lunghi growl a conferire maggior atmosfera - ma questa versione è già di ottima fattura); “Survive The Dead” è
uno degli episodi più riusciti, una lenta narrazione oscura grazie al mid-tempo che pervade per gran parte del brano. Inoltre l'assolo risulta azzeccato e carico di pathos,
dimostrazione che il buon gusto - e non l'eccessiva tecnica – serve per comporre un vero assolo; “Martyrs Of Hell” ci
tiene sospesi in un'atmosfera magica, grazie all'arpeggio evocativo e
la voce ben calata nella parte. Tutto è ben bilanciato (la strofa
arrembante, l'assolo post-chorus, la progressione che porta al
finale) e, sebbene il pezzo sia un pò troppo lungo, risulta
comunque godibile; “..Where The
Nothing Gathers” è il picco compositivo dell'album, brano da
ascoltare e riascoltare. Il sound è quello dei primi Dark
Tranquillity, con un lavoro importante delle chitarre a macinare riff su riff. La canzone è oscura e pesante, elementi ormai
diventati il vero marchio di fabbrica della band; “The Crawling
Chaos” è lunga, ma dotata di una grande varietà di riff
capaci di tenere alta l'attenzione; “Sea Of Blood (The March Of
Morrigan)” è forse l'unico passo falso, un brano dalle dinamiche confuse, mentre la conclusiva “This Is The
Entrance” non raggiunge grandi picchi compositivi, ma porta comunque a termine l'ascolto del disco in
maniera efficace.
A mio avviso l'unica
pecca è la resa di alcuni suoni in studio, soprattutto
per quel che riguarda il rullante (tenuto troppo nascosto)
e del basso (impalpabile). Al di là di questo ci troviamo davanti a
una band di ottimo livello, che non potrà che ritagliarsi uno spazio
del tutto personale nel Metal italiano. Bravi.
Con il recente "Disordem Ao Vivo" gli Amassado si sono dimostrati una band in piena salute. Parliamo di questo e molto altro col chitarrista X-COC, che ci da alcune notizie in anteprima che non potranno che fare felici gli appassionati della band italo-brasiliana.
CIAO
X-COC, UN BENVENUTO A TE E AGLI AMASSADO! COMINCEREI COL FARE UN
TUFFO NEL PASSATO E CHIEDERTI COME E' NATA LA BAND?
Gli
Amassado nascono nel 2008 quando tramite amici in comune ho
conosciuto Suron (cantante) che si era da poco trasferito dal Brasile
qui in Italia. Dopo una breve chiacchierata abbiamo riscontrato una
passione reciproca per la cultura latino-americana e la musica metal.
In quel periodo avevo appena scritto alcuni brani che successivamente
sono stati inseriti nel nostro primo album “Coracao Enterrado” e
gli ho proposto di scrivere le lyrics con l’obbiettivo di mantenere
le radici della sua cultura brasiliana sia nella lingua che nelle
tematiche. Direi che è stato un ottimo sodalizio!
DIREI
PROPRIO DI SI'! SIETE QUINDI SODDISFATTI DEI RISULTATI OTTENUTI FINO
AD ORA?
Siamo
una band che cerca sempre di guardare avanti e delle proprie
esperienze fa bottino per migliorare sotto tutti i punti di vista.
Chiaramente si può e si deve fare di più, però finora dopo 2
album, 1 ep, 1 album live, alcuni tour e diverse date anche
supportando band importanti diciamo che il bilancio è positivo.
COSA
NE PENSATE DELLA SCENA METAL UNDERGROUND ATTUALE?
Nell’underground
attuale ci sono veramente tanti gruppi che spaccano, composti da
musicisti molto preparati. Suonando in giro abbiamo avuto la fortuna
di condividere il palco con band veramente notevoli che meriterebbero
molta più visibilità. Purtroppo questo paese non dà la possibilità
di emergere, c'è veramente poco mercato e a parte realtà come la
tua, altre webzine e radio che si sbattono per promuovere questo
genere, c'è il nulla. Io sono dell’idea che la miglior promozione
per una band sia il live, che rimane oggi probabilmente l’unica
fonte per vendere i propri dischi, ma anche qui la situazione è
abbastanza drammatica. E’ un vero peccato perché ripeto che
abbiamo ottime band che non hanno niente da invidiare a quelle
estere.
COME
AVVIENE IL VOSTRO PROCESSO DI COMPOSIZIONE.. SALETTA O
COMPUTER?
Le
idee partono davanti al computer. Io sono il principale compositore
mentre Suron per ovvie ragioni scrive i testi. Dopo aver registrato
una sorta di pre-produzione passiamo alla fase di arrangiamento in
sala prove. Ci piace molto lavorare insieme in questa fase dove
curiamo ogni piccolo dettaglio cercando soluzioni non banali e
scontate per dare una struttura e un identità ben precisa alle
nostre composizioni. Una volta che il pezzo è ritenuto completo,
registriamo la parte musicale e dopo che Suron ha fatto il testo
registriamo le parti vocali.
VENIAMO
ORA AL LIVE ALBUM “DISORDEM AO VIVO” E AL CONCERTO CHE AVETE
FATTO INSIEME AI BRUJERIA. COM'E' STATA L'ESPERIENZA DI SUONARE
INSIEME A LORO?
Dopo
2 album e un ep volevamo fare qualcosa di diverso dal solito e il
live album era un idea a cui stavamo pensando da tempo. Quando ci
hanno confermato la data insieme ai Brujeria al Titty Twister di
Parma, abbiamo colto la palla al balzo e abbiamo deciso di
registrarlo in quell’occasione. Nei giorni successivi al concerto
con le tracce in mano siamo andati all'AUDIOCORE STUDIO di Fontevivo
in provincia di Parma per la fase di mixing e mastering e devo
dire che siamo rimasti molto soddisfatti del risultato ottenuto.
Suonare con i Brujeria è stata veramente una grande emozione, anche
perché per noi insieme agli Asesino e Sepultura sono stati una
grossa fonte di ispirazione. Inoltre ti ritrovi a condividere il
palco con mostri sacri della scena estrema come Jeff Walker e Shane
Embury. Ne ho approfittato per farmi autografare i cd dei Carcass e
Napalm Death…Che dire, un’esperienza fantastica!!!!!
NEL
DISCO SONO PRESENTI TRE BRANI NUOVI E AL TEMPO STESSO L'ULTIMA FATICA
IN STUDIO “INFANCIA ARMADA” RISALE A TRE ANNI FA..STATE LAVORANDO
A QUALCOSA DI NUOVO?
Si
esattamente! In studio abbiamo fatto la cernita delle tracce per il
live e ne abbiamo individuate 7. Volevamo fare un disco completo
quindi abbiamo deciso di inserire 3 brani inediti che avevamo
già completi e pronti per essere registrati. Come ti dicevo
precedentemente siamo una band che non guarda indietro e cerca sempre
di rimboccarsi le maniche e andare avanti. Abbiamo già pronti
un paio di nuovi brani e diverse idee in cantiere per il nuovo
album.
BEH,
UNA BELLA NOTIZIA PER I VOSTRI FANS! TRA LE NUOVE CANZONI “CIRCO
DOS AMASSADO” E “CINICA UMANIDADE” MI HANNO COLPITO PER IL LORO
IMPATTO ANCOR PIU' ESTREMO RISPETTO AL PASSATO. QUESTO E' IL NUOVO
SOUND E' IL NUOVO SOUND CHE DOBBIAMO ASPETTARCI IN FUTURO DALLA
BAND?
In
questi tre pezzi abbiamo cercato di rendere il nostro sound più
personale estremizzando la nostra matrice grind-hardcore alternandola a parti molto "groovose". Le strutture sono un pelo più semplici
rispetto al disco precedente ma sempre di forte impatto e immediate.
E’ stata una naturale evoluzione anche perché siamo una band che
cerca di non seguire le mode, che non si mette limiti e ama
sperimentare nuove soluzioni. Suoniamo semplicemente quello che ci
piace.
AVETE
NUOVE DATE IN PROGRAMMA?
Sì abbiamo
diverse date per questo inverno sparse per l’Italia e siamo in
contatto con alcuni booking per organizzare un tour all’estero.
Faremo di tutto per suonare ovunque e il più possibile perché la
dimensione live è quella che prediligiamo! I nostri concerti sono
un’esplosione di potenza e adrenalina.
COSA
VOLETE DIRE PER SALUTARE I VISITATORI DI THE METALLIST?
Ti
volevamo ringraziare per l’intervista e per averci concesso questo
spazio. Per
news e concerti potete visitare la nostra pagina
di Facebook www.facebook.com/amassadocrewoppure
il Twitter www.twitter.com/amassadocrew. Corna
sempre alte e supportiamo la scena!!!
Etichetta: Autoprodotto - Genere: Thrash/Death Metal
“Fragments
of Infinity” è il secondo EP dei pesaresi Obliterated, giunto a
tre anni di distanza dall'EP d'esordio “The Dreadful Meaning of
Being”. Il sound della band viene definito come Progressive Thrash,
ma in realtà viaggia molto più sulle coordinate di un Thrash
coadiuvato da una voce Death. Dopo alcuni ascolti è evidente come le quattro canzoni del disco
non brillino di luce propria: “Creator of Void” è
un brano che dura sì dodici minuti, ma in cui i veri riff risultano essere tre o quattro..un po' poco per una canzone che, data
la durata, dovrebbe esprimere idee a non finire e, soprattutto, un
filo conduttore che qui sembra mancare; con “Ouroboros” si
tenta di risollevare il livello generale, grazie a una prima parte dotata
di buon ritmo ed unisono tra chitarre e batteria ed una
seconda parte che mostra idee interessanti di matrice prog; “The Shores of Chaos”
risulta essere un brano solido anche se non trascendentale, con una manciata di riff che ricordano i primi Dark Tranquillity; abbiamo anche un quarto brano,
“Wings of Macrocosm”, ma che in fondo non mi
ha trasmesso granché, forse complice la mancanza di un filo conduttore
come è accaduto per il primo pezzo.
Purtroppo “Fragments of Infinity” risulta essere la
prova incolore di una band che cerca ancora la propria strada
prendendo vari spunti dallo Swedish Death, dai Metallica di
“Kill'Em All” e dai primi At The Gates senza trovare grande
ispirazione. Il tutto non certo supportato dalla voce, piatta fino
all'inverosimile, e né tantomeno dalla produzione, che ha reso il
suono sgranato e confuso. Mi duole dirlo, ma per questi ragazzi c'è
ancora tanto lavoro da fare.
"Disordem Ao Vivo" è il live album degli italo-brasiliani Amassado, band
che si è già fatta un certo nome nell'underground e che nell'occasione
celebra uno dei momenti più importanti della propria carriera, vale a dire il
concerto come supporting act dei Brujeria tenutosi nell'Agosto 2015 al Titty
Twister di Parma. Dieci le tracce in questione, con la band che attinge a piene
mani dai full-length "Coracao Enterrado" e "Infância Armada" piuttosto che dall'EP "Escravidao Subliminal", impreziosendo il tutto
con tre brani inediti. Si parte forte con "Mala De Osso", uno dei cavalli di battaglia della band, che mette
subito in chiaro come durante il concerto ci saranno tonnellate di groove senza
respiro; "Garganta Cortada" risulta trascinante per la forza con cui il cantante Suron Caspar riesce ad aizzare il pubblico; altro pezzo convincente è "Forme
Canibal", per la strofa stile Sepultura e la massacrante sezione
ritmica della batteria, mentre con "Ali Tem A Saida" sono le chitarre furiose di X-Coc a mettersi in risalto. Tra gli inediti risultano particolarmente
riuscite "Circo Dos Amassado" e "Cinica Umanidade", che ci
mostrano una band in piena salute e intenzionata a volgersi verso un sound ancor più brutale rispetto a quanto fatto fino ad ora.
Apprezzabile quindi questo disco, che ci consegna una band capace di
scaricare sul pubblico colate di rabbia come pochi sono capaci di fare.